domenica 3 aprile 2011

Trieste Città In Transizione - Programma Elezioni 2011


Le fonti di energia fossile (prima tra tutte il petrolio) stanno raggiungendo il loro limite massimo di estrazione e sfruttamento. Con l’avvicinarsi di questo momento si pone il problema di come conservare uno standard di vita decoroso per tutti. Il riscaldamento degli edifici e la loro riqualificazione energetica, la mobilità, l’approvvigionamento alimentare e l’edilizia sono tutti aspetti essenziali della nostra vita che oggi dipendono quasi esclusivamente dall’utilizzo di fonti fossili di energia, in particolare nelle comunità urbane.
Se non vogliamo che questa inevitabile crisi colga le nostre comunità impreparate è necessario iniziare da oggi, e tutti assieme, un percorso che ci porti a risparmiare energia, pur garantendo uno stile di vita di qualità per tutti. Diminuire l’utilizzo di queste fonti di energia è inoltre già di per sé un passo positivo per la lotta contro il riscaldamento globale.
Ciò di cui stiamo parlando è un percorso di transizione già adottato da numerosissime comunità cittadine in tutto il mondo, un modello che tutta la nostra comunità può e deve percorrere, impiegando strada facendo le migliori energie intellettuali e umane presenti in città.
SEL intende proporsi come promotore di questo processo, coinvolgendo tutte le realtà attive sul territorio: associazioni culturali, economiche, sindacali, i gruppi di acquisto Solidale, le associazioni ecologiste, ecc.
Vogliamo trovare delle forme concrete di costruzione di una rete di produzione energetica e alimentare basata sul maggior utilizzo possibile di risorse locali e, di contro, sul minor utilizzo possibile di risorse provenienti dal commercio globalizzato di combustibili e alimenti.
Il movimento delle città in transizione è basato su:
  • riduzione dei consumi e degli sprechi come frutto di cambiamento sociale e culturale;
  • autoproduzione alimentare attraverso l'individuazione di distretti produttivi agroalimentari contigui vicini alla comunità urbana;
  • autoproduzione energetica attraverso la microproduzione diffusa;
  • incentivazione del commercio basato sulla filiera corta come strumenti per fermare il processo di globalizzazione ed esternalizzazione.

Quel che regge l’azione di transizione deve però essere la piena condivisione tra i cittadini dell’azione stessa; fatto che richiede un loro forte coinvolgimento facendoli diventare i principali attori del movimento stesso. Una città in crisi, statica, demograficamente immobile può “risvegliarsi” ricollegandosi al territorio che la circonda, ripensando se stessa e il proprio ruolo.
Una città che decida di intraprendere il cammino della riqualificazione energetica può così crescere in opportunità di lavoro, qualità della vita, salute, produzione di beni e servizi (etici, ecologici, locali).
Trieste può, se vuole, superare l’immobilismo, e il pessimismo che la caratterizza.
Nel profondo Nord del rancore e dell’individualismo pensiamo possa ricominciare a prosperare una città aperta, inclusiva, ecologica, colta e solidale, che smetta di guardarsi indietro e che provi a proiettarsi finalmente verso il futuro.


Economia verde, ma non di facciata

La nostra idea di città passa attraverso una riconversione ecologica della nostra economia.
La riconversione del modello energetico e del modello di trasporto è il motore di una nuova direzione dello sviluppo economico. Esso deve far leva su due straordinarie risorse che Trieste già ha: il porto e la ricerca.
Sinistra Ecologia e Libertà propone un nuovo modello di gestione e sviluppo urbano basato sulla riconversione e sulla riqualificazione di interi settori produttivi: i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura, il commercio, i servizi sociali, il turismo e il collegamento della città al territorio.


Il ruolo della ricerca pubblica (e privata)

Se essere il porto più a Nord del Mare Adriatico è una potenziale risorsa strategica della città nella geografia e nell’economia dell’Europa, essere la città della ricerca ci dà la possibilità di trovare risposte nuove a problemi antichi, a mezzo delle quali ridisegnare la città del futuro. Dalla logistica dei trasporti alle energie alternative abbiamo un’occasione straordinaria per mettere a frutto le conoscenze di eccellenza che sono presenti sul nostro territorio e che non vengono oggi impiegate a sufficienza per la crescita di tutta la nostra comunità.
La relazione con la ricerca non può essere episodica. La città deve individuare le forme più adeguate per dare modo alla comunità scientifica di partecipare alla costruzione del futuro della città. La ricerca pubblica può fare molto se opportunamente favorita nelle sue esigenze.
La sfida è incrementare i posti di lavoro attraverso lo sviluppo di nuove aziende che operino nei settori della produzione di energia e di soluzioni ecocompatibili e sostenibili, a partire dai filoni più avanzati della ricerca scientifica. Ciò porterebbe all’incremento di posti di lavoro di altro profilo professionale legati alla produzione di servizi immateriali (culturali, di divulgazione e consulenza scientifica) potenzialmente disponibili per le istituzioni, il mondo economico e la comunità nel suo insieme.





Trasporti: il porto e la TAV

Facendo sistema con gli altri porti del Nord Adriatico, a cominciare da quello di Capodistria/Koper, è necessario rendere pienamente operante la funzionalità portuale collegando nel migliore dei modi il porto alla rete di trasporto su ferro verso il Centro e l’Est Europa.
Questo significa realizzare la piattaforma logistica e implementare i collegamenti fra il porto e la rete ferroviaria verso il Centro-Europa e verso Capodistria/Koper, che è la strada con il minore impatto ambientale possibile. In questo modo si eviterebbe di dover passare sotto la città con una nuova linea di penetrazione come quella prevista nel progetto TAV presentato a dicembre (2009), peraltro privo di elementi fondamentali di valutazione di impatto ambientale come l’analisi costi-benefici.
Visto il probabile fallimento del Corridoio 5, avrebbe senso abbandonare l’alta velocità e puntare invece sull’alta capacità ferroviaria riqualificando la linea esistente, potenziando il collegamento fra l’Adriaterminal e la rete ferroviaria italiana verso Ovest, e realizzando, da un lato, il nuovo collegamento con il Porto di Capodistria/Koper e verso Est, e, dall’altro, interconnettendo la città con l’aeroporto di Ronchi.


Trasporti: il trasporto urbano pubblico e privato

Puntiamo a una riconversione ecologica del modello del trasporto su strada con il progressivo potenziamento del trasporto pubblico, con la realizzazione di infrastrutture ecosostenibili e l’incentivazione dell’uso di nuovi mezzi di trasporto privato: minicar elettriche, scooter elettrici, car-sharing e biciclette elettriche.
I mezzi di trasporto alternativi non generano emissioni inquinanti di CO2 e polveri sottili (e acustiche) e l'utilizzo dei mezzi pubblici e il ridimensionamento (in termini di peso e lunghezza) dei mezzi di trasporto privati potrebbero contribuire a dimezzare il traffico. Tale trasformazione inciderebbe in misura estremamente rilevante sui consumi di carburante e sulla qualità dell’aria e dell'ambiente, con evidenti vantaggi per la salute di tutti i cittadini e le cittadine.
Sono gli enti pubblici a doversi dimostrare per primi virtuosi. Dall'installazione dei pannelli solari sugli edifici pubblici si può prevedere il riutilizzo del surplus di energia prodotta rimettendolo a disposizione della cittadinanza sotto forma di colonnine per la ricarica dei mezzi elettrici.


L’industria: Ferriera e rigassificatore

La presenza della Ferriera, così com’è, è incompatibile con la nostra idea di città. Sarebbe diverso se ci fosse qualcuno che volesse investire davvero sulla produzione pulita e sicura dell’acciaio di qualità e se l’ammodernamento integrale della Ferriera fosse economicamente fattibile, ma non è così e, allo stato attuale, la Ferriera uccide i cittadini con i tumori e i lavoratori con gli infortuni. Se la situazione è questa, bisogna prendere atto che il 2014 è vicino e occorre lavorare sin da subito per costruire le alternative produttive e occupazionali per la ricollocazione di centinaia di lavoratori della Ferriera e dell’indotto. Non sarà facile ma al momento non ci sono alternative.
La città deve compiere una scelta sulla programmazione e sulla politica industriale: anche in questo campo essa dovrebbe indirizzarsi sulla green economy e orientare una propria politica di attrazione degli investimenti alla produzione industriale di tecnologie nel campo delle energie alternative, collocando i nuovi insediamenti proprio sulle aree bonificate della Ferriera.

Lo stesso vale anche per i rigassificatori. Abbiamo già detto che la funzione principale su cui puntare per il rilancio della città è quella portuale. Un rigassificatore rifornito da navi gasiere comporterebbe molti rischi per la sicurezza in prossimità di impianti ad alto rischio di incidente, gravi limitazioni alla pesca e un forte impatto ambientale. Esso necessiterebbe inoltre di ingenti misure di sicurezza. Per tali ragioni, la sua presenza rallenterebbe e condizionerebbe pesantemente il traffico portuale e sarebbe perciò incompatibile con il nuovo modello di sviluppo della città che noi proponiamo.


La produzione e il risparmio energetico

Puntiamo ad una riconversione energetica della città. La soluzione è nella microproduzione, ovvero nella produzione distribuita dell'energia da parte dei cittadini. Fra le soluzioni che proponiamo vi è non solo l’energia fotovoltaica prodotta dai pannelli solari, ma anche il solare termico e il geotermico, gestito in una rete locale e intelligente di microproduzione.
Il cambiamento in tal senso deve partire dalle istituzioni, dal Comune e dalla Provincia, che dovrebbero promuovere l’installazione dei pannelli fotovoltaici a partire dagli edifici pubblici, rimettendo a disposizione della cittadinanza il surplus produttivo promuovendo l’installazione di colonnine per le ricariche elettriche e abbattendo i costi dell’illuminazione di edifici o monumenti anche con l’installazione di punti luce al LED.


Riqualificazione energetica dell’edilizia esistente e riqualificazione urbanistica

A prescindere dagli edifici di elevato valore storico architettonico del centro storico e da ciò che rimane dell’edilizia rurale, la città di Trieste è costituita principalmente da edifici di scarsissimo valore architettonico e urbanistico, costruiti in massima parte fra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso. Queste case sono state fatte in economia e, nella maggior parte dei casi, presentano dopo poco più di vent’anni evidentissimi segni di obsolescenza: caduta degli intonaci (spesso ricoperti interamente da pannelli di Eternit/amianto), serramenti in alluminio di prima generazione inefficienti, coperture piane non isolate.
Buona parte delle zone centrali e la quasi totalità dei quartieri periferici sono costituiti da edifici di questo tipo, cresciuti per giunta secondo parametri urbanistici di tipo speculativo, assolutamente inadeguati agli standard di qualità ambientale e residenziale richiesti dall’urbanistica contemporanea.
Se dal punto di vista architettonico e paesaggistico questi edifici non si presentano affatto bene, essi risultano a dir poco un disastro se solo proviamo ad analizzarli da un punto di vista energetico e funzionale. Costruite secondo i canoni di un’epoca in cui l’energia fornita dal petrolio era a costi bassissimi, queste case risultano oggi delle “macchine” particolarmente inefficienti dal punto di vista energetico. La maggior parte del calore prodotto dagli impianti di riscaldamento se ne va direttamente attraverso le pareti non isolate e i serramenti inadeguati, veri e propri “colabrodo” che lasciano uscire il calore d’inverno, mentre d’estate lo lasciano drammaticamente entrare, costringendoci a compensare il danno con l’utilizzo massivo di altrettanto costosi e malsani sistemi di refrigerazione elettrici.
Il problema dello spreco energetico dell’edilizia residenziale e pubblica è evidente ed è sulla bocca di tutti. I dati relativi ad esso sono noti (un terzo del consumo energetico nazionale è imputabile al consumo dei fabbricati) e sono note anche le percentuali di risparmio qualora venissero compiuti gli interventi di riqualificazione energetica necessari (circa il 70% di risparmio vivo sul costo delle bollette attuali). Il quadro è noto eppure, in Italia, si fa poco o niente, a prescindere dalla messa a punto di un sistema, peraltro non a tutti accessibile, basato sui meccanismi di sgravio fiscale.

Dobbiamo però domandarci perché non si fa niente?

La risposta è semplice: l’attuazione di un serio programma di riqualificazione energetica dell’edilizia su vasta scala sarebbe di grande convenienza economica:

- per i cittadini e le cittadine, che risparmierebbero sulla bolletta;
- per le piccole e medie imprese, che produrrebbero benessere generalizzato e lavoro;
- per l’industria, che produrrebbe i materiali e le tecnologie necessarie alla riqualificazione;
- per la ricerca scientifica e per l’università, alle quali sarebbe affidato il compito di progettare e testare i materiali e le nuove tecnologie basate sull’utilizzo di energie alternative.

Le nostre città cambierebbero aspetto, si colorerebbero di nuove forme e colori e rinascerebbero.

Questo percorso virtuoso non conviene però alle multinazionali dell’energia che vendono il gas e ne stabiliscono il prezzo, condizionano l’azione dei governi, strumentalizzano la stampa e la televisione, indirizzandoci verso scelte di politica energetica a loro esclusivo vantaggio, quali il ritorno al nucleare e i rigassificatori.

Il nostro compito è ora quello di mettere a punto un programma di riqualificazione energetica su vasta scala basato sulla comunicazione e l’informazione dei suoi stessi contenuti.
Tutto si basa su dati semplici, sul fatto che ogni cittadino ha il diritto di essere informato e tutelato nei suoi interessi.
Le istituzioni pubbliche devono essere in grado di formulare “un modello” che possa soddisfare la totalità degli attori che ne prendono parte. Cittadini, imprese e finanziatori (pubblici e privati) devono essere messi nelle condizioni di potersi riunire ad un unico tavolo dove la battaglia della riqualificazione energetica dell’edilizia esistente possa essere giocata e vinta nell’interesse di tutti.

Il nuovo piano regolatore generale della città è immediatamente necessario per bloccare l’ulteriore cementificazione di aree verdi e per varare un grande piano di riqualificazione abitativa e urbana basata sul recupero e sulla riqualificazione del costruito esistente e non sul consumo di altro suolo. Se si seguisse questa via, sarebbe inoltre possibile destinare alla città nuove aree verdi e un nuovo sistema di orti urbani.
Questa amministrazione non ha voluto, né saputo, attuare tutto ciò.
Commercio: l’approvvigionamento alimentare e la filiera corta

Il sistema agroalimentare attuale, come la maggior parte dei sistemi produttivi e commerciali, è strutturato secondo un modello a “filiera lunga”, all’interno del quale si interpongono un numero elevatissimo di intermediari fra produttore e consumatore. La filiera lunga si associa naturalmente al concetto di economia di scala e di agricoltura industriale, da cui deriva l’estromissione dal mercato dei piccoli produttori e la relativa sopravvivenza delle aziende agricole di grandi dimensioni. Queste ultime sono notoriamente forti utilizzatrici di petrolio e di trattamenti chimici di ogni sorta, nonché produttrici di merci delle quali il consumatore finale è spesso impossibilitato a conoscere il percorso, la qualità e la provenienza. La globalizzazione del mercato e della produzione agricola è inoltre la prima causa di riduzione della biodiversità e del degrado territoriale e paesaggistico.
La filiera corta”, in piena opposizione al modello dominante, si propone invece come fondazione di un nuovo modello incentrato sulla valorizzazione economica, sociale e paesaggistica del territorio, attraverso la costruzione di una nuova rete di rapporti fra produttori e consumatori.
La “filiera corta” favorisce l’utilizzo di tecniche di agricoltura biologica, caratterizzate tutte dalla totale trasparenza del processo di produzione e distribuzione, reso visibile e quindi “partecipato” dal consumatore, che diventa soggetto attivo dell’intero processo.
Fino all’inizio degli anni Sessanta, anche a Trieste ha perfettamente funzionato un sistema di produzione, distribuzione e vendita a “filiera corta”. La città, demograficamente ancora più sviluppata di quella attuale, si approvvigionava in prevalenza dai territori limitrofi immediatamente circostanti, dall’Istria e dal vicino Friuli. Con l’adozione della “filiera lunga” è stato reciso il naturale rapporto simbiotico che legava la città al territorio, sia dal punto di vista economico che sociale e relazionale.
Il sistema agricolo a “filiera corta” che proponiamo è in grado di produrre un’economia forte e stabile basata sull’utilizzo di nuova manodopera (il biologico richiede più lavoro rispetto all’agricoltura industriale) e di nuovi saperi tecnici e scientifici. Questo sistema incentiva l’apertura di centinaia di nuove piccole aziende, parallelamente all’apertura di “mercati rionali certificati”, di nuovi “gas” (gruppi di acquisto solidale) e della vendita diretta.
L’introduzione di un vero sistema di filiera corta su scala territoriale avrebbe inoltre l’effetto positivo di ricollegare la città al territorio in modo organico; azione direttamente visibile a livello paesaggistico e ambientale e umanamente auspicabile dal punto di vista sociale.

Puntiamo alla costruzione di una rete produttiva e commerciale locale e di un distretto della filiera del ciclo corto di prodotti orticoli, agricoli e animali rigorosamente biologici e certificati con il Friuli, la Slovenia e la Croazia, aree tradizionalmente interconnesse alla città dai tempi del suo sviluppo urbano.
La creazione di una rete basata sulla produzione biologica porterebbe alla riconversione di interi settori produttivi (agricoltura, allevamento, trasporti), con evidente vantaggio su salute, qualità e quantità del lavoro, oltreché sugli aspetti paesaggistici (territorio curato e articolato). Per far questo bisogna però semplificare la legislazione sui permessi per le coltivazioni biologiche sul territorio del Carso triestino e sulla vendita al dettaglio dei prodotti.
Nel quadro che abbiamo delineato i mercati contadini sono un importante risvolto commerciale: attraverso la vendita diretta dei prodotti agroalimentari da parte dei produttori si innescano i benefici dell'economia di prossimità e si recupera il rapporto con i ritmi naturali della terra e delle stagioni. Tutto ciò potrebbe contribuire a ridisegnare una città dove i negozi rionali non vengano schiacciati dai centri commerciali, dove il cittadino possa guardare alla tracciabilità, alla qualità e alla durata del prodotto.
Comune e Provincia possono fare molto in questo campo, sia con l’individuazione di spazi oggi assenti, sia con la promozione (grazie a regolamenti e certificazioni, ove necessario) di un ambiente regolamentare favorevole a questo tipo di filiera.


Servizi pubblici e beni comuni: ciclo dei rifiuti e acqua potabile

Puntiamo a una città che, con la Provincia, sappia fare il proprio mestiere nel campo fondamentale del riciclo e del riutilizzo dei rifiuti, sacrificati fino ad ora sull’altare delle tre linee di incenerimento di Acegas e degli utili dei suoi soci pubblici e privati. La città deve essere anche disposta a ridurre questi utili diminuendo drasticamente la quantità di rifiuti inceneriti e compiendo una scelta netta verso la raccolta differenziata. Anche in questo campo crediamo ci siano le opportunità per creare dei nuovi posti di lavoro e nuove realtà produttive.

Pensiamo inoltre che la città debba scorporare il ramo acqua da Acegas e riguadagnarne la proprietà e la gestione interamente pubbliche come chiede il movimento referendario.

Il coinvolgimento della cittadinanza

Noi di SEL vogliamo una città e una provincia in cui siano capite, valorizzate e sostenute le buone pratiche di governo locale come quelle già messe in atto nel Comune di Muggia in particolare per quanto concerne le politiche ambientali, la salvaguardia e la riqualificazione della costa, il turismo ambientale e i progetti transfrontalieri.

Costruire una città di transizione significa includere tutte le fasce di età e tutte le classi sociali, perché tutti e tutte hanno qualcosa da dire in proposito e possono contribuire a migliorare Trieste e la sua provincia per il bene comune.

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